Ci piace proporre la lettura di questo documento dei Missionari della Consolata dove si parla dell’interculturalità come nuovo paradigma della missione.
Un cammino nuovo
La presenza di molte culture in uno stesso contesto culturale è legata e dipende dai più significativi fenomeni dell’età contemporanea. Essi sono: la fine dell’epoca coloniale; l’internazionalizzazione dei rapporti politici, di produzione ed economici; la mondializzazione dei sistemi informativi e dei mass media; e infine la globalizzazione delle relazioni culturali e di incontro.
Fu partendo dallo studio della filosofia della scienza che l’uomo contemporaneo ha scoperto il valore della multiculturalità. Volendo scoprire le chiavi per interpretare il senso dell’universo e dell’uomo, si è reso conto del limite interpretativo presente nella monocultura. Per interpretare il mondo bisognava allargarsi ad altre interpretazioni complementari, alla multiculturalità.
A livello sociale, la storia dell’umanità è sempre stata caratterizzata dal movimento e dagli incontri di persone provenienti da contesti geografici diversi. Le culture, incontrandosi, si sono rese fluide. Gli individui allora hanno agito attivamente rinnovandole, per poter gestire convenientemente i cambiamenti che gli incontri con altre culture avevano procurato.
Ci si è anche resi conto che ogni cultura è multiculturale, poiché in essa sono riconoscibili sedimenti culturali provenienti da popoli e luoghi diversi; che per comprenderci bene e interpretarci, è necessario avere una memoria plurale, che tenga conto della complessità degli elementi che ci compongono; e che ogni società è multiculturale, anche perché in essa coesistono diversi sistemi di valore.
L’interculturalità
L’interesse popolare verso l’interculturalità è nato nel campo dell’educazione, dove le molteplici estrazioni culturali degli alunni ponevano domande e interrogativi pressanti. Dal campo educativo, l’interesse per l’interculturalità si è spostato ad altre aree, come la comunicazione e la convivenza sociale. Di questo fenomeno, a poco a poco, si sono poi interessate la filosofia, l’antropologia, la sociologia e la riflessione teologica nei vari Continenti. A partire dagli anni ’90, anche gli organismi internazionali quali l’ONU, la Comunità Europea ed altri, preoccupati dell’impatto che questo fenomeno poteva avere sulla convivenza civile, hanno avviato riflessioni sistematiche su questo argomento. Oggigiorno non esiste una sola società al mondo che si possa dire esente da questa problematica.
Il concetto di “interculturalità” è quindi alquanto nuovo, ma si è fatto strada in maniera decisa nelle ultime decadi, in diverse aree del sapere umano. Come tutte le realtà nuove, anche questa è stata soggetta ad una lunga gestazione e ancora oggi ha bisogno di definizione e di attenzione per coglierne l’esatto significato ed evitare inutili generalizzazioni.
Quando persone o culture diverse mettono in atto un processo di interazione all’interno delle società multiculturali, si ha l’interculturalità. Nasce cioè un dialogo interattivo fra culture diverse, per intendersi e poter condividere pacificamente la vita.
La parola stessa ha una pregnanza semantica non indifferente. Le sue componenti, il prefisso: inter e il termine: cultura, chiariscono il concetto. Il primo dice interazione, scambio, interdipendenza, reciprocità; il secondo rimanda ai valori, ai modi di vita, a rappresentazioni simboliche di gruppi e di individui.
Il prefisso inter indica ancora la matrice fondante della “reciprocità” interculturale, designa un’esigenza di reciproca solidarietà nel costruire progetti di interdipendenza e nel realizzare processi di crescita e reciproca interazione, costituendone quindi l’interscambio.
Rispetto alla multiculturalità, l’interculturalità costituisce il fine a cui pervenire, in quanto implica capacità di scelta, consapevolezza, coinvolgimento; determina la reciprocità, il costruire insieme all’altro , la negazione di percorsi unidirezionali e l’effettiva comprensione della cultura, evitando esotismo e folclore. Nella vita quotidiana si dovrà evitare sia l’assimilazione dell’altro, sia l’integrazione, che hanno connotazioni negative. Assimilare, infatti, è rendere simile a sé, e integrare è omogeneizzare, svalutando le differenze.
Interculturalità è pertanto la sintesi di effettivi processi di interazione culturale. Interazione vuol dire reciproco travaso di “magma culturale” e possibilità di nuovi innesti, nel “patrimonio” culturale di un soggetto e di un gruppo.
È un processo composto da varie tappe, un progetto che mette al centro l’incontro tra persone diverse, al fine di interagire. Suppone atteggiamenti fondamentali, come il rispetto, la fiducia reciproca e l’apertura al diverso, e ha di mira non tanto l’integrazione delle diversità, quanto la costruzione di una società nuova, basata sull’accettazione delle diversità. In questo modo, il sistema acquista e conserva unità strutturale e funzionale, pur mantenendo la differenziazione degli elementi.
Questo progetto si fonda sul previo consenso libero che le persone sociali si danno. L’interculturalità va coniugata nella logica della democrazia, che esiste solamente là dove le differenze sono ammesse e accettate. Essa comporta l’accettazione di una piattaforma di valori, stabilita di comune accordo tra i dialoganti. E’ la cooperazione nelle diversità di vedute attraverso nuove strategie educative e socializzanti, capaci di rendere gli individui atti a trarre profitto dalla situazione multiculturale e di creare un clima propizio all’interpretazione di tutti gli elementi, senza cancellare l’identità specifica di ognuno.
Il dialogo è lo strumento per eccellenza, al fine di avviare questo processo. Esso è scambio di memoria, che consente di tradurre per gradi gli elementi di una cultura sconosciuta in un linguaggio culturale conosciuto. Si basa sull’incontro dell’altro come alterità e nutre rispetto per ogni persona.
L’interculturalità come nuovo paradigma della missione
Senza dubbio, l’interculturalità ha suscitato e continua a suscitare un grande interesse nella Chiesa. Ma sono stati soprattutto gli Istituti e Ordini religiosi, dove la convivenza ravvicinata di persone di varie nazionalità crea un insieme di problemi, ad impegnarsi nell’affrontare questo tema, non solo dal punto di vista “religioso” o “ascetico”, ma anche nelle molteplici dimensioni che esso presenta. Da più parti ci si interroga se le comunità ecclesiali e i nostri Istituti si stanno avviando verso una nuova Pentecoste, oppure verso un’altra Babele.
È solo accogliendo positivamente la multiculturalità come un fatto imprescindibile dell’epoca moderna e adottando l’interculturalità come stile di vita, che possiamo raggiungere un nuovo paradigma di fare missione. Se prima tutto si fondava sulla buona volontà dell’individuo singolo, impregnato unicamente della sua cultura e dei suoi valori, oggi questa prospettiva non basta più. Per evangelizzare, oggi è necessario un cambiamento di paradigma, uno stile nuovo, basato sull’interculturalità.
Il passaggio d’epoca che stiamo vivendo con il suo carico di complessità, il liquefarsi dei rapporti sociali, la riduzione della persona a costo e risorsa, a oggetto di sfruttamento e di scambio, le violenze e il rifiuto perpetuati nei confronti di chi è diverso considerato come minaccia, esigono l’elaborazione di un nuovo paradigma del vivere globale, una nuova grammatica della convivenza civile basata essenzialmente sull’importanza del riconoscimento dell’altro, della sua diversità come ricchezza, e della inalienabile dignità che lo abita.
Per raggiungere questo, non si tratta più, come si diceva una volta, di cambiare mentalità, ma di acquisire una mentalità di cambiamento.
Questa inversione di rotta diventa possibile soltanto se ci mettiamo in viaggio verso l’altro, come viandanti in esodo, che a partire dall’altro, sappiano scoprire la propria identità nella relazione, nel dialogo, nello scambio, nella convivenza. Per fare l’ermeneutica di se stesso, l’uomo ha bisogno dell’altro. In quest’ottica, la diversità può essere assunta come un dono e una risorsa, piuttosto che come minaccia.
Il paradigma
Un paradigma è una visione del mondo e della storia, che ispira un sistema di pensiero unificante e totalizzante, genera un universo di valori, e orienta l’agire e la ricerca di senso nella propria vita.
Vivere la missione nel mondo globalizzato di oggi, esige un salto di paradigma che nasca da una nuova visione del mondo e degli scenari della storia, incentrati sul “senso dell’alterità”, sul “gusto dell’altro”, sull’importanza fondamentale del “legame sociale” (solidarietà) e del riconoscimento dell’altro nella sua diversità. L’interculturalità ne è il volano, il catalizzatore, nel cui cuore c’è la relazione con l’altro e nel cui dinamismo c’è il rispetto della diversità, la reciprocità del dono e l’arricchimento vicendevole. Essa fornirà i valori di riferimento e i modelli di comportamento, modellerà la prospettiva personale sugli altri, ispirerà gli atteggiamenti e guiderà le relazioni.
L’altro come catalizzatore del paradigma
Chi è per noi l’altro? Come ci poniamo di fronte a lui? Sono domande che interrogano ciascuno di noi, ma attraverso le quali si può leggere e interrogare tutta una società, una cultura nelle sue dimensioni più profonde.
Nella relazione interculturale, l’altro non è minaccia, ma purificazione, assunzione di consapevolezza. Perché l’altro è colui che ci permette di capire chi siamo, colui che per opposizione ci plasma, colui che rafforza la nostra identità proprio mentre la contesta. Il “nemico” è il miglior maestro che incontriamo nella vita. Nel Vangelo di Giovanni , Gesù squarcia diversi veli circa la propria identità e missione, in risposta a interrogativi o attacchi di persone a lui estranee, se non ostili: la samaritana al pozzo, i farisei attorno al cieco nato, i greci saliti a Gerusalemme per il culto, Pilato al processo.
Nei vangeli postpasquali poi, il Cristo risorto appare riconoscibile solo nell’altro: nel giardiniere, nel pellegrino di Emmaus, in un estraneo presso il lago. Nell’episodio di Emmaus il forestiero, colui che non sa nulla di quanto è avvenuto a Gerusalemme, diventa addirittura la chiave di interpretazione dell’intera vicenda della passione, morte e risurrezione di Gesù;
Questi episodi della vita di Gesù, sono una rivelazione “teologica” di come l’altro, il forestiero cessa di essere nemico e diventa il tramite, l’interprete, colui che mi traghetta dal mio io alla verità, che è più grande di me stesso e del mio cuore.
In un mondo lacerato da divisioni e fratture, le nostre comunità saranno in grado di testimoniare il Regno e diventare “Buona Novella”, se vivranno la comunione nella diversità, se si apriranno all’altro e sapranno impostare la propria vita partendo dall’altro.
Oggi nel tempo della società globale e interdipendente, tanti “altri” vivono vicino o lontano da noi, e noi siamo consapevoli che, anche se essi non ci “guardano” direttamente, inevitabilmente “ci riguardano”. E così che la prossimità dell’altro si fa responsabilità.. E’ la stessa presenza dell’altro, la sua prossimità e diversità, a costruire la mia responsabilità.
Il senso del futuro è l’epifania dell’altro.
Nell’età classica, greca soprattutto, l’aspirazione del saggio e il suo termine comprensivo era stato l’essere. Nell’età moderna, il termine agognato era stato l’io.
Nel terzo millennio il termine comprensivo di tutto dovrà diventare l’altro e il suo volto, il prossimo di cui parla il Vangelo, e gli si stenderà intorno una cultura di pace.
Tutti rammentiamo la famosa affermazione di Thomas Merton “nessun uomo è un’ isola”. Essa offre la chiave di lettura di ogni esistenza umana: il rapporto con l’altro. Comunione attraverso il conflitto, unione nella diversità, la nostra vita non è mai concepibile senza l’altro. Tragedia allora non è il conflitto con l’alterità e la differenza, bensì i due estremi che negano questo rapporto: confusione e separazione, negazione e oppressione dell’alterità.
Per questo è importante che le nostre comunità riscoprano l’irruzione del diverso, l’epifania dell’altro e viverla come un’ “apocalisse” nel senso etimologico e cristiano del termine: come una rivelazione. In questo modo saremo in grado di sviluppare atteggiamenti conseguenti e ridisegnare il significato di alcune parole, che segneranno il passaggio da una fase statica e dormiente dell’ interculturalità, ad una più dinamica, interattiva e contaminante.