Di seguito riportiamo un estratto dell’intervento di Padre Ricardo G. Castro, missionario della Consolata, ai Vescovi dell’America Latina operanti in Amazzonia – Novembre 2009
La ricchezza dell’Amazzonia sta nell’interrelazione esistente tra biodiversità, cultura e religiosità tradizionale dei suoi popoli. L’Amazzonia, nel contesto attuale, presenta due realtà dicotomiche: l’esuberante ricchezza della foresta e dei fiumi e la distruzione galoppante della biodiversità di questa regione.
La morte della foresta e dei fiumi è anche la morte dei suoi popoli e la decadenza della nostra condizione umana. Nell’ascoltare, pertanto, le grida della terra amazzonica ascoltiamo nello stesso tempo il destino dell’umanità in pericolo. Esiste una relazione intrinseca tra umanità e natura, nel grido della terra ci sono le grida dei poveri. Entrambe le grida sono risultato di un processo di intervento che sta deteriorando l’equilibrio degli ecosistemi.
L’attuale modello economico e di sviluppo, anche se descritto come sostenibile, ha come base una visione della natura come materia che deve essere trasformata in guadagno. Per realizzare questo obiettivo si infligge una violenza sistematica agli ecosistemi della terra e agli esclusi di questo sistema.
Lo sviluppo deve comprendere invece una crescita spirituale oltre che materiale. Una comprensione più spirituale dell’Amazzonia ci porta a una cambiamento di punto di vista. Ci porta a riflettere sulla sopravvivenza delle piante, degli animali e degli esseri umani e ci porta alla costruzione di “un modo di vita sostenibile”, con quattro dimensioni: ambientale (conservazione della vita), sociale (integrazione e convivenza), mentale (etica e spiritualità) e integrale (vita piena per ognuno e per tutti).
L’essere umano (e non solo in senso generico) è diventato troppo centrale, dominando e rompendo l’ordine naturale: generando disequilibrio nella creazione. Questo antropocentrismo si traduce in un eccessiva crescita, che porta alla distruzione rapida delle risorse della terra e al degrado della vita umana. È necessario tornare alla visione che vede l’umanità come parte della natura e non distinta da essa; e gli esseri umani, dato che possiedono la capacità di comprendere razionalmente la natura, hanno una responsabilità maggiore nei suoi confronti
La razionalità scientifica della conoscenza della natura ha come finalità quella di affermare la superiorità e il dominio umano sul mondo creato.
Per i popoli tradizionali dell’Amazzonia, invece, conoscere la natura è un atto spirituale, intriso di una comprensione etica di cura di quella che è la madre e la fonte dell’uguaglianza di tutti gli esseri. Nella razionalità dei popoli dell’Amazzonia, cioè nel loro modo di vivere e di pensare, la natura è percepita come matrice, utero che dà la vita, con la quale l’essere umano è ombelicamente legato. Partecipare della sua vita richiede un’altra logica, diversa da quella della materializzazione e riduzione a cosa della natura, che porta ad una concezione di sviluppo che depreda la terra.
L’Amazzonia ci sfida ad imparare la resistenza dei suoi popoli e la sua dinamica cosmico-biologica. Questo significa contribuire all’elaborazione di una visione alternativa dell’Amazzonia che faccia fronte ai meccanismi di dominio che oggi arrivano in questa realtà con il nome di “sviluppo sostenibile”, monoculture, migrazioni forzate, poli industriali e altro. Questa visione deve tenere conto dei doveri che l’uomo ha verso l’ambiente naturale, il suo uso rappresenta per tutti una responsabilità verso i poveri, le generazioni future e l’umanità intera.
Questa prospettiva è la base per riflettere sulla sostenibilità, che è la capacità che ha l’azione umana o di una società di soddisfare le sue necessità di base a tempo indeterminato, senza mettere a rischio l’esaurimento, la qualità e l’uso abusivo delle sue risorse naturali.
La questione ambientale non si riduce quindi alla necessità di proteggere la diversità biologica per mantenere l’equilibrio ecologico del pianeta, ma cerca anche di valorizzare la diversità etnica e culturale della specie umana e di alimentare diverse forme di uso produttivo della biodiversità, in armonia con la natura. In questo contesto è importante valorizzare le forme mitologiche e i rituali dei popoli indigeni, che aiutano la valorizzazione del corpo e della terra, che ricordano costantemente il valore sacro di tutti i tipi di vita e della nostra dipendenza dalla terra e gli uni dagli altri. L’apertura alla vita è al centro del vero sviluppo.
Nella foresta è impossibile essere agnostico o ateo. La relazione con Dio è semplice e spontanea, senza dualismi. Oggi, in maniera generale, chi sperimenta di più la sacralità della foresta sono gli scienziati. Oggi ecologisti, scienziati e fisici parlano con entusiasmo degli ineffabili misteri della creazione. La foresta non è solo uno scenario inanimato di colori. È un tempio. I nostri avi avevano saputo comprendere questo fatto e sono stati capaci di sviluppare un’intima e amorosa relazione con essa.
Navigando sui fiumi, il modo più tipico di viaggiare in Amazzonia, impariamo ad essere contemplativi. I popoli indigeni hanno saputo nei secoli capire la “grammatica” che indica finalità e criteri per un utilizzo sapiente, non strumentale e arbitrario. È necessario comprendere la necessità di una opzione etica e spirituale per risolvere l’antagonismo oggi esistente tra l’essere umano e la natura.