La mostra nasce dall’intuizione di tenere insieme i termini “coca” e “maloca” (la casa comunitaria dei popoli indigeni) e mettere in scena le loro relazioni all’interno della selva Amazzonica e nel mondo. Anello di congiunzione i missionari della Consolata, che da decenni operano nella Colombia amazzonica, profondi conoscitori delle culture tradizionali e delle problematiche inerenti all’affare coca.
Intorno al polo “coca” ruotano la coltivazione della pianta di coca e la trasformazione della sua foglia in cocaina, il conseguente impatto ecologico sulla foresta amazzonica, il narcotraffico con i disastrosi effetti sulla società colombiana, fino ad arrivare al fenomeno cocaina nel mondo occidentale ed in Italia in particolare.
Il polo “maloca” rappresenta invece la semplice scoperta di una cultura diversa e lontana e, in modo simbolico e provocatore, la possibilità di un’alternativa, di un rapporto diverso con l’ambiente, pianta di coca inclusa, capace di una cultura comunitaria e solidale, alternativa allo sfruttamento e all’ingiustizia.
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